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Angels Fall First (1997, Nightwish)

Ho conosciuto i Nightwish all’inizio degli anni 2000, grazie ad uno spot pubblicitario trasmesso – se non ricordo male – sulla TV tedesca via satellite “VIVA”. In quel periodo stavano venendo alla ribalta diversi gruppi musicali (provenienti in prevalenza dell’europa settentrionale) che proponevano una commistione tra heavy metal e musica sinfonica; l’unico modo per poterli ascoltare in Italia era sintonizzarsi su una TV straniera oppure cercare di scaricare i loro brani tramite programmi di condivisione “peer to peer” (come WinMX, che utilizzavo). Le prime canzoni che riuscii a trovare erano di certo le più conosciute (“Nemo”, “Century Child”, “Astral Romance”), e mi piacquero al punto da spingermi ad approfondire la ricerca: in breve tempo riuscii a ricostruire un po’ tutta la loro discografia, ripromettendomi di acquistare i loro dischi qualora li avessi trovati. La ricerca fu più difficile del previsto: negozi di dischi nella mia città ormai non ce n’erano più, e l’unico album che riuscii a trovare dopo aver girato un po’ fu “Highest Hopes” (una raccolta in edizione economica), che comprai al volo. Quello che mi appresto a recensire, “Angels Fall First“, è il disco d’esordio dei Nightwish, che acquistai – usato – al modico prezzo di sei euro, presso “Saturn”, uno dei più bei negozi di dischi di Bari, che purtroppo ha chiuso qualche anno fa.

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L’elenco dei brani del CD e la presentazione del gruppo presente sul retro del libretto.

“Angels Fall First” è un’efficace sintesi della “poetica” di Tuomas Holopainen, tastierista e fondatore dei Nightwish. Ad affiancarlo, in quest’opera prima, il chitarrista Erno “Emppu” Vuorinen (che si occupa anche delle parti di basso) e l’amica – amata Tarja Turunen al canto, oltre al batterista Jukka Nevalainen, aggiuntosi al nucleo originario per le registrazioni del disco (e rimasto nel gruppo fino al 2014).

L’album si apre con “Elvenpath“, un viaggio onirico lungo i sentieri percorsi dai personaggi delle leggende e della letteratura fantastica cari all’autore: è un brano heavy metal, con un riff inizialmente suonato da una tastiera, ripreso poi dalla chitarra elettrica accompagnata dalla batteria. A dispetto dell’argomento trattato, musicalmente è la canzone più “dura” dell’album, soprattutto nel ritornello, quando la velocità della parte ritmica raddoppia. Molto interessante la transizione tra l’ultimo ritornello e la coda, caratterizzata da un inciso molto cupo, a cui segue un assolo di chitarra costruito sul giro armonico del riff introduttivo, che purtroppo si conclude in maniera un po’ frettolosa. A tema fiabesco è anche il secondo brano del disco, “Beauty and the Beast“, ispirato all’omonima favola, in cui l’autore duetta con Tarja Turunen; il brano ha uno sviluppo non lineare, si apre con un’introduzione strumentale, sul cui giro armonico verranno poi costruite la strofe, che vedranno alternarsi la voce maschile e quella femminile in una sorta di dialogo teatrale; la seconda parte scende di tonalità e rappresenta uno sviluppo cupo della favola, in cui le parole della “bella” suonano ipocrite, portando la bestia ad inasprire i propri sentimenti: “Per sempre il lupo che è in me desidererà l’agnello che è in te”: è il tema della purezza (idealizzata) eternamente bramata, che tornerà di prepotenza anche nei dischi successivi.

Lo stesso tema, accanto a quello religioso – spirituale, viene trattato nel brano successivo, “The Carpenter“, primo singolo estratto dal disco. Il falegname del titolo è un chiaro riferimento a Gesù Cristo, sulla cui figura l’autore si interroga (“Chi sei, Uomo condannato ad illuminare una salvezza attraverso i secoli”; “Perché il vino del Sacro calice era troppo amaro per essere bevuto dall’uomo?”). La parte finale, cantata da Tarja Turunen, sembra riferirsi ad un’altra figura evangelica, Maria Maddalena (“Mi dicono di sdraiarmi sull’erba ad osservare il mio Salvatore crocifisso (…)”). Mi è difficile dare un senso compiuto al testo di questa canzone (nel cui ritornello si parla della “tomba di un milite ignoto” su cui sarebbero deposti “gli attrezzi di Colui che per noi è morto”), ma il tema religioso sarà sempre presente, in maniera più (come in “Gethsemane”, nel secondo album) o meno evidente anche in parecchi brani pubblicati successivamente, fino all’improvviso “cambio di rotta” documentato dall’ultimo (per ora) album “Endless Forms Most Beautiful”, incentrato sulla teoria evoluzionista di Charles Darwin e Richard Dawkins.

Astral Romance” è uno dei brani di punta dell’album: caratterizzato da una potente introduzione che richiama “Comfortably Numb” dei Pink Floyd, parla di una storia d’amore a “distanza cosmica”, e sembra una sorta di preludio ad un’altra canzone dell’album, “Tutankhamen”: il tema dell’egittologia sparirà completamente dopo il secondo disco dei Nightwish, anche se “Astral Romance” verrà ripubblicato nell’album dal vivo “Over the Hills and Far Away”, con un arrangiamento leggermente diverso e con la presenza, alla voce maschile, di Tony Kakko al posto di Tuomas Holopainen.

Il quinto brano, “Angels Fall First” è una ballata acustica, in cui chitarra e flauto si alternano su di un sottofondo di archi (emulati da una tastiera). E’ qui che la voce di Tarja Turunen emerge in tutta la sua espressività. Anche questo brano, come quello di apertura, si incupisce verso la fine, dopo due bellissimi assoli di chitarra acustica e flauto, rimanendo quasi sospeso.

Tutankhamen” si apre con un riff orientaleggiante, ma si tratta di un pezzo musicalmente molto duro, con un incedere martellante. Il testo, che parla di una “sacerdotessa” che custodisce per tremila anni la tomba del faraone nella speranza di potersi ricongiungere a lui, è abbastanza trascurabile, ed anche un po’ ingenuo negli ultimi versi (“Mi ci sono voluti tre millenni per sorvegliare il tuo riposo, il tuo assopimento (1) nel maestoso nido della Fenice, ma stanotte l’oscurità nella tomba si è estinta, perché Carter è venuto a liberare il mio amato”).

Nymphomaniac Fantasia” esordisce in modo suggestivo, con chitarra acustica e flauto, ma presto si trasforma in una ballata rock in cui spicca un riff (di tastiera) molto accattivante. Per il resto, non c’è molto da segnalare, a parte alcuni versi particolarmente imbarazzanti (forse anche per via dell’inglese un po’ approssimativo con cui sono scritti)…

Know Why the Nightingale Sings” è un onesto brano heavy metal, con un riff poco originale ma di grande efficacia; degna di nota, l’ottima parte di chitarra solista, una delle migliori prove di Emppu su quest’album.

La parte più bella del disco, però, è a mio avviso rappresentata dall’ultimo brano, “Lappi“, una suite di ben nove minuti dedicata alla Lapponia: si apre con un’introduzione suonata da tre chitarre acustiche, alla quale fa seguito una struggente strofa cantata (in finlandese) su di un suggestivo sottofondo di flauto e tastiere; la seconda parte (intitolata “Witchdrums”) è caratterizzata da una sequenza di tamburi che accompagna un riff di tastiera inquietante ed affascinante allo stesso tempo; i tamburi lasciano poi spazio ad un ritmo di batteria lento e scandito, sul quale la voce di Tarja si produce in una tetra cantilena che parla di notti fredde ed infinite; una breve frase di pianoforte interrompe la cupezza di questo momento ed introduce una coda che è una sorta di inno potente ed evocativo. La chitarra acustica ritorna nell’ultima parte, lanciandosi, dopo un’introduzione in cui accompagna il canto, in un breve tema virtuosistico nel quale finalmente Emppu ha la possibilità di spiccare sul resto del gruppo.

Nell’edizione rimasterizzata del 2002 è possibile anche ascoltare una bonus track, “A Return To The Sea“, che testimonia l’interesse di Tuomas Holopainen per la biologia (quella marina in particolare); il brano è una ballata molto enfatica, che parla della rivincita della natura sull’uomo (non posso fare a meno di citare il solito “anticlimax” situato verso la fine del brano: “Gocce di mare schiumano (lungo) tutti i vuoti teschi umani/quelli sulle rive di Atlantide/la resurrezione di Darwin è testimoniata/da tartarughe con cui era solito giocare”).

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La mia collezione di dischi dei Nightwish.

C’è parecchia ingenuità in questo disco, soprattutto nei testi, mentre le esecuzioni sono già di buon livello, cosa difficilmente riscontrabile nella musica “leggera” dagli anni ’80 in poi. I Nightwish faranno di meglio negli album successivi, passando anche attraverso vari cambiamenti di formazione; ma il fascino di quest’album sta proprio nella sua imperfezione; nel rappresentare al meglio i sogni di un introverso tastierista del nord Europa che è riuscito, con passione, dedizione e caparbietà, a realizzare poco alla volta il grande progetto musicale della sua vita.

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Altro materiale dei Nightwish nella mia collezione.

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NOTE:

(1) (“slumber”, ovvero “sonnellino, pennichella”, che non mi sembra un termine molto poetico…)