A cura di Aldo Chiummo
Sono passati quasi 20 anni (19 per l’esattezza) da quando vidi per la prima volta “Digimon Adventure” in TV.
Ricordo che all’epoca questo genere di “mostriciattoli” andava molto forte. Probabilmente la moda nacque con i Tamagotchi, ma il boom in Giappone si verificò senza dubbio grazie ai videogiochi di Pokèmon, resi noti qui in Italia soprattutto dalla serie animata che ne derivò e che andò in onda sulle reti Mediaset. Spinto dalla curiosità decisi di darle un’occhiata anch’io. Dopo 9 episodi (tanti ne entravano in una videocassetta da 180 – all’epoca registravo quasi tutte le novità) la mollai, trovandola troppo stupida, infantile e insulsa per i miei gusti (lo stesso era accaduto un po’ di tempo prima con un’altra serie, molto più famosa, che gran parte degli appassionati di animazione giapponese idolatrano, ma non ne faccio il nome per non offendere nessuno (ma soprattutto per non ricevere offese!)… :D).
Qualche tempo dopo, stavolta su RaiDue, fu il turno dei Digimon, nati da un film animato di successo anziché da un videogioco. Il fatto che la serie andasse in onda su una delle reti RAI mi incoraggiò per via dell’alta qualità degli anime trasmessi sulle reti della concessionaria statale, che inoltre forse proprio in quel periodo collaborava con la Dynamic per portare sulle nostre TV cose mai viste (cit.) e (almeno all’apparenza) senza censure, come i film di Dragon Ball e la serie di “Strange Dawn” (che tuttavia, se non erro, fu interrotta prima della fine).
Quello che mi colpì del primo episodio di Digimon fu proprio la trama: non generica, sciatta e ad episodi autoconclusivi come quella di Pokèmon, ma ben scritta, appassionante, “fluviale”, e soprattutto presumibilmente dotata di una conclusione.
Nonostante i nomi dei personaggi fossero quelli americani, il “master” (lo capivo dalle animazioni delle sigle, pressoché intatte – a parte il titolo, rifatto) era chiaramente quello giapponese, cosa che apprezzai parecchio.
La serie mi appassionò moltissimo, tant’è vero che guardai anche la seconda, i cui protagonisti erano 4 nuovi digiprescelti e i 2 più piccoli della vecchia guardia, restando però deluso dalla totale rimozione dell’episodio 23, relativo all’infanzia di Ken Ichijouji (non faccio spoiler), di cui mi accorsi quasi casualmente, leggendo i riassunti delle puntate da un sito giapponese (correva l’anno 2002).
Inutile dire che andai anche al cinema a vedere “Digimon – il film“, inca**andomi in malo modo per il taglia e cuci sfrenato che aveva condotto alla “creazione” di un unico film dai 3 di partenza, per la totale sostituzione della colonna sonora originale con musiche del cavolo e canzoni americane pseudo-punk che partivano all’improvviso e a tutto volume e all’improvviso finivano e che non avevano niente a che fare né con le immagini che accompagnavano né con “Digimon”, e ovviamente per i nomi americani (dopotutto il disastro era stato fatto proprio negli USA (e getta). I nostri distributori si erano limitati a tradurlo – ma è ovvio che avrebbero usato quei nomi in ogni caso, per coerenza con la serie televisiva).
La terza serie, “Digimon Tamers“, anch’essa trasmessa su RaiDue, era invece ambientata in un “universo” totalmente differente, ma mi piacque lo stesso (la ritengo ancora una delle migliori serie, se non la migliore, di Digimon, anche per le implicazioni filosofiche della trama); e in un ulteriore universo si svolgeva anche la successiva “Digimon Frontier“, che però non apprezzai molto (forse per via del becero trattamento riservatole da RaiDue, che spostava, censurava e tagliava – in parte o del tutto – gli episodi a proprio arbitrio o, più spesso, in caso di partite di calcio o tribune politiche, rendendola a tratti incomprensibile).
Negli anni successivi ho continuato a seguire le vicende legate a “Digimon” soltanto attraverso internet, ma a titolo meramente informativo, soprattutto per mancanza di tempo. Dopo “Digimon Frontiers” in Giappone sono uscite “Digimon Savers“, inedita da noi, e “Digimon Xros Wars“, suddivisa in due stagioni, giunta di recente in Italia col titolo “Digimon Fusion Battles“.
Poi nel 2015 ho iniziato a sentir parlare di “Digimon Adventure tri.“. Pareva che si trattasse del seguito delle prime due serie, ma dato che la sua “serializzazione” andava un po’ per le lunghe e per evitare spoiler lo ignorai per qualche anno… Finché qualche mese fa ho scoperto per caso di cosa si trattasse realmente:
“Digimon Adventure tri.” è un progetto nato in occasione dei 15 anni della prima serie di Digimon, la cui trasmissione in Giappone iniziò il 7 marzo 1999. Si tratta di 6 lungometraggi, proiettati nei cinema giapponesi nell’arco di 3 anni e contemporaneamente trasmessi in streaming nel resto del mondo suddivisi in episodi della durata approssimativa di 20 minuti l’uno per un totale di 26, che raccontano le vicende degli 8 digiprescelti “originali” a 3 anni dai fatti narrati nella seconda serie. La maggior parte di loro frequenta il secondo anno delle superiori, mentre Hikari/Kari e Takeru/T.K. frequentano il primo e Jou/Joe il terzo.
Nel mondo reale appaiono dei Digimon “cattivi” che distruggono tutto ciò che capita loro a tiro. Al contempo un numero sempre più frequente di blackout affligge le città, e i dispositivi elettronici iniziano a presentare malfunzionamenti di vario genere.
I digiprescelti, riunitisi per assistere a un incontro calcistico di Taichi/Tai, vengono raggiunti dai loro Digimon e iniziano a scontrarsi con i Digimon malvagi.
A loro si unisce una ragazza, Meiko Mochizuki, da poco trasferitasi in città, il cui partner Digimon, dalle sembianze feline, si chiama Meicoomon.
A vegliare sui digiprescelti c’è un’organizzazione di cui fa parte il professor Daigo Nishijima (docente nella scuola frequentata da Taichi/Tai) e la misteriosa ricercatrice Maki Himekawa, sua ex-fidanzata.
La storia, a cui volutamente ho fatto solo qualche innocuo accenno, è interessante e coinvolgente, e molto più “matura” rispetto a ciò a cui gli spettatori di Digimon sono abituati. Il tema di fondo è infatti il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, con tutto ciò che questo comporta in termini soprattutto di responsabilità.
Il concetto è ben rappresentato dallo scontro, che corre lungo tutta l’opera, tra Yamato/Matt e Taichi/Tai, il primo sempre risoluto e consapevole del da farsi, il secondo sempre più esitante al pensiero delle conseguenze che le azioni dei digiprescelti possano avere sulla città, sulle persone e in generale sul futuro del mondo reale e di quello digitale.
Anche il rapporto dei protagonisti con i loro Digimon viene scandagliato più a fondo, e le tematiche adulte sono corroborate anche dalla presenza di Nishijima e Himekawa, che hanno un ruolo tutt’altro che secondario nella vicenda.
Il tono più serio e filosofico dell’opera è ben sottolineato anche da uno stile grafico più “realistico” ma pur sempre “giapponese”, e dall’ottima fattura delle animazioni, in gran parte fuide e verosimili, soprattutto durante le spettacolari scene d’azione.
Fondamentale in tali frangenti, ma anche nelle sequenze di digievoluzione, è stato l’apporto della grafica 3D computerizzata. L’abilità dei grafici assoldati dalla Toei ha fatto sì che le sequenze digitali si integrassero perfettamente con quelle animate in maniera tradizionale (cioè disegnate un fotogramma alla volta – la precisazione è d’obbligo perché ormai pare che nel campo dell’animazione si lavori esclusivamente al computer).
La colonna sonora fa egregiamente il suo dovere, ed è arricchita da una versione rifatta della bellissima sigla iniziale “Butter-fly“, re-interpretata dal cantante originale, Kouji Wada, ma anche, durante i titoli di coda dell’ultimo film, dai DigiDestined (gruppo vocale formato da Natsuki Hanae, Suzuko Mimori, Yoshimasa Hosoya, Mutsumi Tamura, Hitomi Yoshida, Jun’ya Enoki, Jun’ya Ikeda, Mao Ichimichi e Miho Arakawa – rispettivamente doppiatori di Taichi/Tai, Sora, Yamato/Matt, Koushirou/Izzy, Mimi, Takeru/T.K., Jou/Joe, Hikari/Kari e Meiko), dai Digimon Singers (formati da Chika Sakamoto, Atori Shigematsu, Mayumi Yamaguchi, Takahiro Sakurai, Shihomi Mizowaki, Miwa Matsumoto, Junko Takeuchi, Yuka Tokumitsu e Yukiko Morishita, ovvero rispettivamente le voci di Agumon, Piyomon/Biyomon, Gabumon, Tentomon, Palmon, Patamon, Gomamon, Tailmon/Gatomon, Meicoomon), da Ayumi Miyazaki (il cantante/compositore che interpreta “Brave Heart“), Ai Maeda (che doppiava Mimi nella prima serie TV) e dallo stesso Wada.
Nella versione anglofona (uscita, credo, solo in DVD e BluRay), le sigle iniziali sono state sostituite da una canzone cantata in inglese che immagino orrenda anche solo per il fatto che rimpiazza quella originale!
Non poteva mancare l’epicissima “Brave Heart” (cantata ancora una volta da Miyazaki) ad accompagnare le digievoluzioni! Sentire per la prima volta, durante il primo film, la nota ribattuta distorta che apre il brano, seguita poi dall’indimenticabile riff introduttivo, identici a come li ricordavo, ha innescato nel mio animo il meccanismo della nostalgia ancor più di quanto non avesse fatto poco prima la comparsa sulla scena di Agumon e soci! Il potere della musica!
Se dovessi trovare un difetto in questa serie di 6 lungometraggi, lo individuerei nella differenza abissale che corre tra i digiprescelti e i loro coetanei “reali”. E’ vero che si tratta pur sempre di un’opera di finzione, ma la finzione funziona (mi si perdoni l’infelice gioco di parole) tanto meglio quanto più si avvicina alla realtà che vuole astrarre.
Un adolescente che somigli a uno dei digiprescelti può esistere, e sono sicuro che esista, nella nostra realtà, ma non in questo Occidente rimbecillito dalla logica capitalista che spinge sempre di più la gente verso un egoismo narcisistico che vede nel prossimo più un nemico da abbattere che un simile da aiutare e che misura il valore di una persona sulla base di quanto (e di cosa) possiede.
E’ anche vero che nel lavoro di squadra, indispensabile ai digiprescelti per il compimento delle loro missioni, si potrebbe intravedere il riflesso di un modo di pensare tipicamente giapponese ma comunque capitalista, che concepisce l’azienda come una famiglia alla quale il dipendente sacrifica letteralmente la propria vita, anche quella famigliare, il proprio tempo (anche quello “libero”) e la propria individualità, a vantaggio unicamente delle tasche del badrone; ma i digiprescelti non sono semplici ingranaggi di un sistema che va dove vuole il capo: sono teste pensanti che si evolvono spiritualmente tanto quanto i loro partner digitali si evolvono “fisicamente”, e che non seguono il pensiero dominante ma si spendono fino all’ultimo per un fine la cui superiorità sono loro a decidere in base alle proprie convinzioni.
Peccato che nei nostri cinema (e in TV) agli adolescenti venga propinato tutt’altro (ma film come questi “Digimon Adventure tri.” li andrebbero a guardare, se potessero?)…
P.S.: E’ possibile guardare “Digimon Adventure tri.” senza aver visto le prime due serie, ma la loro conoscenza è indispensabile per godersi l’opera appieno.